Con la riforma del Copyright vincono i lavoratori e vince la giustizia!

Il voto sul Copyright in programma questa settimana a Strasburgo ha rappresentato uno snodo fondamentale per tutta l'industria creativa italiana. Parliamo di un comparto economico-produttivo che genera in Italia qualcosa come 92 miliardi di euro annui, arrivando a più di 250 miliardi di indotto complessivo. E' un settore che dà lavoro a 1,5 milioni di persone, il 6% degli occupati in Italia. Un motore strategico per l'Italia che potrebbe avere un incremento di oltre il 50% di fatturato se riuscisse a sfruttare tutte le opportunità e a contrastare le minacce come il value gap - il divario tra quanto viene generato dai contenuti creativi in rete e quanto viene restituito a chi ha creato quei contenuti - e la pirateria. Qualcuno ha alimentato false campagne provando a dire che con la riforma del copyright siamo di fronte ad un tentativo censura della rete, che gli utenti dovranno pagare per accedere ai contenuti sul web: niente di più falso. Non si tratta di mettere in discussione la libertà di internet, ma semplicemente di riconoscere il giusto a chi produce e far pagare il giusto ai grandi player. Tutto rimarrà come prima per gli utenti finali, i cittadini potranno tranquillamente usare la rete come accade adesso: la riforma vuole soltanto dare a Cesare quel che è di Cesare, perché a fronte di milioni di persone occupate nel settore culturale italiano ed europeo, la forza lavoro messa in campo da Google o da Facebook ammonta a qualche centinaio di persone che fatturano utilizzando i nostri dati e la creatività delle nostre imprese. Si pensi agli utili nel 2017 di Facebook e Google, rispettivamente 16 miliardi e 13 miliardi di dollari realizzati utilizzando contenuti digitali gratuitamente, senza pagare alcuna quota a chi li ha ideati e prodotti. Ecco chi ha interesse a contrastare una riforma giusta: si tratta dei colossi del web, che vorrebbero diventare sempre più grandi mentre chi produce contenuti diventa sempre più debole e senza protezioni. Sono veri e propri ladri di cultura, enormi società che utilizzano la creatività e il lavoro della filiera italiana ed europea per cannibalizzare il mercato utilizzando contenuti che non vengono pagati adeguatamente, per raccogliere miliardi di pubblicità e fatturati mostruosi pagando le tasse oltre oceano, magari attraverso una filiera di società che consentono di abbattere ancor di più il carico fiscale. Sono giganti che non lasciano nulla sul territorio, non creano occupazione e non portano valore alla straordinaria filiera culturale italiana, al mercato del libro, dell'editoria, degli audiovisivi, delle piccole produzioni cinematografiche. Non è in gioco soltanto la qualità dell'informazione e della stampa – questa riforma è un ottimo scudo contro il proliferare di fake news - bensì anche la libertà e la sopravvivenza. Il dibattito si è concentrato sugli articoli 11 e 13, quelli relativi alla giusta retribuzione per il materiale diffuso online da editori e creativi e sulla possibilità di bloccare quei siti che pubblichino contenuti editoriali senza il consenso del legittimo autore. Non è stato un semplice voto, ma una vera e propria battaglia di civiltà, una sfida a cui hanno giustamente aderito anche innumerevoli associazioni di giornalisti, di editori e di produttori di contenuti. Da parte nostra come Eurodeputati al Parlamento Europeo abbiamo sostenuto e vinto questa battaglia con l'obiettivo di difendere l'Italia, con una riforma  che va nella direzione di tutelare tutti coloro che ogni giorno lavorano, creano, producono e che meritano di essere retribuiti maniera adeguata, difendendoli da questa vera e propria concorrenza sleale.